lunedì 27 dicembre 2010

La spianatoia ritrovata

Cosa fa una brava massaia sotto Natale? Tira la sfoglia, piega i cappelletti... Nel mio caso, niente di tutto ciò! A dire la verità ho fatto una bella vacanzina al calduccio, e sono tornata per sedermi alla tavola apparecchiata il 24, il 25 e anche il 26, senza nessun mio contributo :) Sensi di colpa: zzzzero.

Però una piccola mossa l'ho fatta... Ho rispolverato la spianatoia e il mattarello appartenuti alla nonna e li ho portati a casa per esercitarmi (finora non disponevo di una mia attrezzatura adeguata). Se pensate che sia stato facile, non conoscete le dimensioni della spianatoia e del vero mattarello da sfoglia, allora ve le dico io: 97 cm!
Immaginate due svitati che in una piovigginosa sera di dicembre vagano solitari per le strade di Bologna trasportando una spianatoia e un mattarello (che tende a scivolare da tutti i lati). Vi risparmio la foto.
Ecco invece i preziosi oggetti giunti a destinazione:


domenica 5 dicembre 2010

Ragù


Questa volta mi sono incontrata per un pomeriggio di ragù con P, mia sorella. Un pomeriggio di ragù richiede soprattutto di vegliare la pentola con pazienza e fare molte chiacchiere. Questo  pomeriggio mi ricorda un altro così, una volta che andammo dalla nostra nonna appositamente perchè ci insegnasse il suo ragù bolognese. La nonna era una di quelle leggendarie nonne dei leggendari pranzi della domenica, per intenderci. Quindi mi piace l'idea di riproporre noi due nipoti la sua ricetta, continuando il filo di una storia che si srotola in avanti.

Per prima cosa, la nonna ci aveva raccomandato di procuraci 800 grammi di macinato bovino con cartella. Questa faccenda della cartella per me è rimasta una specie di formula magica, finchè non ho trovato una specie di "atlante del bovino" in cui è la cartella è indicata nella pancia. Vado baldanzosa da un macellaio, anzichè al solito supermercato; in realtà è un macellaio che ancora non ho mai provato. In negozio è assai affollato; entro, e con mia sorpresa mi trovo catapultata in un piccolo angolo di Campania! A giudicare dalla parlata, sia il macellaio sia tutti i clienti devono avere origini napoletane o dintorni. Ricordo che il famoso "atlante del bovino" specificava che i tagli di carne hanno nomi diversi nelle regioni italiane; sono presa dal panico, non posso sapere qual è il nome napoletano della cartella... chiedo solo del macinato per ragù, specificando che non sia troppo magro. Comunque, a posteriori vedo che a Napoli la cartella si chiama pancettone (non era difficile, dai).
La ricetta può avere inizio.

Cominciamo soffriggendo una dose abbondante di misto surgelato per soffritto in olio e burro; sono onesta, non racconto che abbiamo ridotto in cubetti di precisione millimetrica sedano, carota e cipolla con le nostre manine :) 
Aggiungiamo quindi 300 grammi di pancetta tritata (nel tritatutto, ma più saggiamente forse si può far tritare dal macellaio).


Facciamo rosolare bene anche la pancetta a fuoco abbastanza vivace.
Quindi aggiungiamo la carne macinata e abbassiamo il fuoco. Giriamo piano piano la carne che comincia a perdere lentamente il colore rosso vivo della carne cruda. La mescoliamo a fuoco basso per circa dieci, quindici minuti, finchè è diventata più o meno tutta opaca, ma attenzione! E' ben lontana dall'essere cotta...
A questo punto copriamo la pentola, la mettiamo sul fuoco più basso, e aspettiamo. Ogni tanto, diamo una mescolatina alla carne.


(Nel frattempo ci siamo fatte un bel the). Dopo circa due ora di cottura, dovremmo assaggiare, salare e pepare. Però, dopo il the non ce la sentiamo di assaggiare il ragù quindi andiamo fiduciosamente a occhio. A questo punto aggiungiamo il pomodoro (una lattina da 400 grammi).


Copriamo la pentola di nuovo e facciamo cuocere con santa pazienza, di nuovo a fuoco bassissimo, per un'altra mezz'ora. Se non altro il bello è che fa tutto lui, noi dobbiamo solo aspettare!
Sua signoria il ragù a questo punto è pronto per essere gustato (le tagliatelle paglia e fieno in questo caso non sono farina del mio sacco)...


... e anche (a meno che non si abbiano almeno dieci commesali) per essere saggiamente surgelato: la dose è abbondante proprio per questo, visto il tempo che ci vuole, vale la pena di fare una scorta! Dopo basta scongelarlo e scaldarlo, allungando eventualmente con altro poco di salsa di pomodoro.


LA RICETTA IN BREVE

800 g di macinato bovino con cartella
300 g di pancetta tritata
misto per soffritto (sedano, carota e cipolla a cubetti)
400 g di salsa di pomodoro


Far soffriggere il misto per soffritto a fuoco abbastanza vivace. Aggiungere la pancetta e rosolare bene.
Aggiungere il macinato e abbassare il fuoco. Cuocere per dieci minuti a pentola scoperta, mescolando bene e facendo prendere leggermente colore alla carne da tutti i lati. Coprire e fare cuocere a fuoco bassissimo per circa due ore. Aggiustare di sale e pepe e aggiungere il pomodoro. Coprire e fare cuocere sempre a fuoco bassissimo per un'altra mezzora.

martedì 30 novembre 2010

La sfoglia... gioie e dolori

Finora è filato tutto tutto liscio... troppo liscio.
Finchè la signora Da (quella della puntata precedente sulle tagliatelle dolci) non mi ha messo davanti alla spianatoia, faccia a faccia con due uova, un mucchietto di farina e lui, il mattarello. Ho provato a tirare la mia prima sfoglia (quasi) da sola... Il risultato sembrava incoraggiante!


Vabbè non è rotonda come vuole la perfezione... ma abbiamo deciso che lo spessore era accettabile per delle tagliatelle, anzi, per semplificarci la vita, dei tagliolini.
Abbiamo quindi arrotolato la sfoglia con delicatezza e ho cominciato a tagliarla trasversalmente con il mitico coltellaccio (come le tagliatelle dolci). Solo che queste tagliatelle, al contrario di quelle dolci, è bene che poi si srotolino... in teoria "spettinandole" con un abile e veloce movimento della mano.
Ecco, i miei tagliolini abbiamo dovuti srotolarli a mano... ad uno ad uno... non c'era verso erano parecchio attaccaticci! Meno male che eravamo in quattro! E che a metà ho allargato il taglio sempre di più per virare dal tagliolino alla tagliatella in modo da avere meno rotolini!
La debacle...


venerdì 26 novembre 2010

Tagliatelle dolci


Vabbè che è "per principianti", ma questo mattarello quando entra in scena?
Ci siamo. Sono a casa della signora Da, che mi accoglie con due spianatoie e due mattarelli, il tutto con veduta sui tetti di Bologna. Il marito della signora cerca di mettermi soggezione, affermando che devo fare attenzione alla spianatoia su cui mi accingo a lavorare perchè è  "plurigenerazionale". Non ci casco, ma certamente è plurigenerazionale la compagnia che assiste e partecipa al mio "tentativo": la signora Da, la madre in veste di "assaggiatrice" e la figlia in veste di "aiutante/assaggiatrice" (tutte più esperte di me in materia di sfoglia comunque).
In realtà la signora Da esordisce pretendendo di tenere un basso profilo: dice che non è una gran "sfogliarina", che fa la sfoglia solo da novembre a febbraio per le festività e una serie di ricorrenze familiari, che questa è la prima della stagione ed è fuori forma... Non mi faccio certo dissuadere! La signora Da forse pensa a sua suocera, una di quelle che faceva la sfoglia tutte le domeniche per tutta la famiglia: ma anche se fuori allenamento, la signora Da ha una manualità ed un piglio invidiabili.
La ricetta rimane in sospeso fino all'ultimo, alla fine optiamo per le tagliatelle dolci, che pare non richiedano la perfezione (e neanche molto meno della perfezione, spero).
Per cominciare facciamo grattugiare alla nostra "aiutante" la buccia di due limoni e la mescoliamo a due etti di zucchero. Lasciamo insaporire bene questa miscela mentre ci dedichiamo alla sfoglia.


Cominciamo con la fontana di 2 etti di farina, al centro della quale rompiamo due uova. Le dosi dipendono dalle uova, dunque meglio partire un po' scarsi con la farina e poi eventualmente aggiungerla. Si comincia mescolando con una forchetta uova e farina, partendo dal centro e allargandosi piano piano. Quando la fontana è troppo larga o rischia di crollare, si ricompatta bene il "muretto". Questo è un momento di assoluta suspence nel timore che l'uovo esca...
Ancora peggio dopo, quando dobbiamo aggiungere una tazzina da caffè piena di latte: il latte non ci sarebbe nella sfoglia "normale" ma solo in questa che è dolce.
Una volta ottenuta una bella palla senza che i liquidi "debordino", cominciamo i gesti per impastare.


La signora Da inizia spingendo la palla con entrambe le mani a formare un "salametto" di cui poi ripiega le estremità; ripete qualche volta questa mossa. Poi comincia a spingere la palla con il palmo della mano, vicino all'attaccatura del polso. L'importante è alternare le due mani, raccogliendo la pasta e poi schiacciadola di nuovo. All'inzio è un po' difficile prendere il ritmo, ma mi cimento anch'io. A me la palla si attacca! Un po' è normale, mi assicura la signora Da, perchè l'impasto con il latte è più appiccicoso; ma commetto anche un errore, schiacciare la palla con le dita anzichè con il palmo.
Ora procediamo a stendere la sfoglia. Prima, è importantissimo pulire bene la spianatoia per evitare che rimangano grumi a cui la pasta si attaccherebbe... e qui rivediamo il temibile coltello da sfoglia, già incontrato in un'altra cucina alla puntata delle tigelle.
Prima di stendere, la signora Da infarina leggermente la spianatoia e il mattarello (con una sfoglia senza latte è probabilmente superfluo). Cerco di cogliere i principali segreti dell'arte del mattarello, anche se so che sarà una strada lunga! Innanzitutto è importante spingere con pressione costante senza tralasciare i bordi e senza sollevare mai il mattarello. Poi è comodo girare più volte la sfoglia di un quarto di giro: all'inzio è facile, dopo è necessario arrotolare delicatamente un bordo al mattarello, girare il mattarello e posare delicatamente la sfoglia di lato (la delicatezza non è una mia virtù...)


Inoltre è utile premere con la mani ora al centro ora ai bordi del mattarello, per assottigliare bene tutto... e per tutto il tempo, è bene controllare lo spessore ed evitare le pieghe... insomma, non mi aspettavo che fosse facile e infatti non lo è; però è decisamente divertente :)
A questo punto si può quasi tirare un sospiro di sollievo... non resta che cospargere bene la sfoglia con il mix di zucchero e limone e cominciare a piegarla delicatamente a spirale senza premere.


Otteniamo una specie di "salame" che va tagliato a fette spesse circa un dito (--> ecco il mitico coltello da sfoglia)


Per finire, buttiamo le fette in una padella di olio di semi bollente (ma in questo blog si frigge sempre? in effetti, capita decisamente spesso! beh a me non dispiace).

 
Nel buttarle in padella, bisogna fare attenzione che le tagliatelle non si srotolino. Dopodichè nell'olio bollente lo zucchero del ripieno si caramella ben bene, e resta una crosticina aromatizzata al limone... mmmh. Vanno girate a metà cottura; lo zucchero caramellato fa sì che diventino belle scure. Da fare attenzione se friggete in due "round", la seconda volta nell'olio c'è già lo zucchero caramellato quindi le tagliatelle rischiano di bruciare più in fretta.
E un ultimo consiglio: quando le scolate, non mettetele sulla carta da cucina perchè a causa del caramello si attaccano! Noi le abbiamo scolate su un tagliere di legno.

Il risultato finale è delizioso! Belle croccanti,  con il limone che fa un po' da contrasto al dolce dello zucchero...



LA RICETTA IN BREVE

Per ogni uovo:
1 etto di farina
1/2 tazzina da caffè di latte
1 etto di zucchero
la buccia grattugiata di un limone (solo la parte gialla mi raccomando)

Grattugiare la buccia di limone e mescolarla con lo zucchero.
Fare un impasto con farina, uova e latte. Stendere l'impasto dello spessore delle tagliatelle (non sottilissimo). Cospargere la sfoglia con il composto di limone e zucchero. Arrotolare la sfoglia partendo da un bordo, senza premere, ottenendo una specie di "salame". Tagliare il "salame" a fette spesse circa un dito. Friggere le "fette" in olio di semi bollente, facendo attenzione che le spirali non si aprano. Scolare dall'olio (non su carta da cucina) e lasciare intiepidire.

martedì 23 novembre 2010

La patona e i patonen

Se il nome patona vi richiama qualcosa di molto denso e consistente... ci avete preso! La patona è il nome parmigiano del tipico dolce di farina di castagne, che probabilmente è più conosciuto come castagnaccio. Ma patona rende bene l'idea comunque :)
Credo che non ci sia un dolce più "basic" di questo, che nella versione più semplice potrebbe essere fatto anche solo con farina di castagne, acqua o latte e un filo d'olio (questa cosa dell'olio d'oliva in una torta mi ha stupito: niente burro? panna? ricotta? mascarpone?).
Io e la signora Gi abbiamo sperimentato una ricetta un po' più ricca; anche così mi sembra comunque un dolce che richiama tempi austeri in Appennino... il che non significa che non sia appetitosa, anzi! Abbiamo tenuto da parte un po' dell'impasto per i patonen (con l'accento sulla e), frittelle di castagne.


Abbiamo cominciato mescolando 250 g di farina di castagne, 1 bicchiere di zucchero e un pizzico di sale. Quindi abbiamo aggiunto piano piano, sempre mescolando, 400 g di latte; quindi, 2 cucchiai di olio e mezzo cucchiaino di lievito. Il lusso che abbiamo concesso alla nostra patona sono l'uvetta e i pinoli.


L'uvetta va ammollata prima in un po' d'acqua, strizzata e passata leggermente nella farina (di castagne, nel nostro caso), perchè non vada a finire tutta in fondo (anche se come dicevo, quest'impasto è davverodenso, non mi sembra un grande pericolo...). Per quanto riguarda i pinoli, è carino tenerne alcuni da parte per la decorazione della torta.
A questo punto, bisogna decidere se fare la patona o i patonen. Ovviamente, abbiamo optato per entrambi! Per regolarsi, la patona deve essere abbastanza sottile (un dito e mezza), quindi a seconda della teglia che si usa si può fare "avanzare" un po' di impasto per le frittelle. Comunque per stare nel sicuro, se volete preparare sia patona sia patonen, potete fare fin dall'inzio dose doppia rispetto a quella che vi ho dato (noi abbiamo fatto così, ma vi assicuro che viene davvero molto impasto... da fare se si hanno molte bocche da sfamare).


Sembra che un problema della patona sia la tendenza ad attaccarsi dannatamente alla teglia; per questo sono rimasta colpita da questa tecnica della signora Gi per foderare una tortiera apribile: mettere un foglio di carta da forno sulla base, chiudere in modo che la carta rimanga ben "bloccata", così restano da ungere solo i bordi (di olio, nel nostro caso).
Ecco la patona pronta per trascorrere 20 minuti nel forno ventilato a 180°.


Nell'attesa, ci siamo dedicate ai patonen. Per comiciare, abbiamo scaldato bene l'olio in una padella. Quindi abbiamo cominciato a buttare delle belle cucchiaiate di impasto nell'olio bollente.


I patonen devono friggere da entrambi i lati e diventare belli scuri: la farina di castagne dà questo colore intenso, non vuol dire che stiano bruciando. Quindi li abbiamo sgocciolati su carta da cucina e abbiamo aspettato che la temperatura scendesse un tantino, in modo non ustionarsi. Poichè nel frattempo anche la patona si era cotta, il risultato è stato un'abbuffata! Abbiamo chiesto rinforzi in casa perchè in due non potevamo certo finire tutti quei dolci! Io personalmente ho concluso che la mia preferenza va alle frittelle (deliziose quando sono ancora belle calde), ma consiglio di provare entrambi per dare un parere...

 

LA RICETTA IN BREVE

250 g di farina di castagne
400 g di latte
2 cucchiai di olio
1 pizzico di sale
½ cucchiaino di lievito
1 bicchiere di zucchero
50 g di uvetta ammollata
50 g di pinoli

Mescolare farina, zucchero e sale. Aggiungere il latte a poco a poco, l’olio e il lievito. Strizzare l’uvetta e passarla nella farina di castagne. Aggiungere all’impasto l’uvetta e i pinoli.
Per la patona: versare l’impasto in una teglia ben oliata in modo che sia alto un dito e mezzo circa; cuocere a 180° per 20 minuti (in forno ventilato; altrimenti, allungare il tempo di cottura).
Per i patonen: versare l’impasto a cucchiaiate in una padella di olio bollente; far dorare da entrambi i lati, sgocciolare e asciugare l’eccesso d’olio con carta da cucina.

mercoledì 17 novembre 2010

Torta di patate di Berceto


Pensavo di avere dato un'ottima prova di me alla grattugia in occasione dei passatelli, ma questa volta è stata ancora più dura! Però la signora Gi possiede una bellissima grattugia con cassettino incorporato per cui è stato (quasi) un piacere grattugiare 150 g di parmigiano.
Comunque era indispensabile per questo tortino di patate che ha accompagnato il salame fritto, e che accompagna volentieri il salume in generale. Facendo una piccola digressione, non so se avete mai provato a nominare la parola "salume" in provincia di Parma: di sicuro è apprezzato in tutta l'Emilia (e non solo), ma credo che qui raggiunga il livello dell'amore per non dire della venerazione! La litania del salume recita: prosciutto di Parma, culatello di Zibello, salame di Felino, spalla cotta di San Secondo. Direi che in mancanza di salame fritto, li potete tutti accompagnare alla torta di patate; e anche altri a vostra scelta ovviamente (anche se forse i parmigiani non vi approveranno in pieno).


Per cominciare, abbiamo messo a lessare 1 kg di patate. Quindi abbiamo energicamente grattugiato il formaggio, come già raccontato. Abbiamo affettato e messo a soffriggere 2 porri. La signora Gi dubitava che la ricetta originale-originale fosse con i porri; consultata la suocera, forse più probabilmente si usavano cipolle soffritte con l'aggiunta, alla fine, di un pizzico di concentrato di pomodoro. Tuttavia, apprezzando molto i porri, abbiamo deciso senza tentennamenti di ammetterli in questa ricetta!


 Abbiamo passato le patate e ci abbiamo aggiunto i porri, il parmigiano, e gli altri ingredienti: 250 g di ricotta, 1 uovo intero e 2 tuorli, noce moscata grattugiata, sale. Alla fine avevamo una ciotola un tantino strabordante, che ho deciso di affrontare a mani nude per dare una bella mescolata.


Una volta amalgamato bene tutto, abbiamo messo l'impasto in una tegliadi 26,5 cm di diametro (per la precisione) , imburrata e cosparsa di pangrattato  (qui vedo che nella ricetta c'era scritto di usare una teglia da 30 cm, ma garantisco che anche 26,5 può andare). Abbiamo schiacciato bene il composto in modo da pareggiarlo, lo abbiamo decorato tracciando delle righe con una forchetta e cosparso di pangrattato la superficie; io normalmente sono particolarmente insensibile al lato estetico della cucina, ma non così la signora Gi! Inoltre ho osservato che questa decorazione ha il vantaggio pratico di aumentare l'area su cui si forma la crosticina...
Abbiamo infornato; il tempo ufficiale di cottura è 40 minuti a 180°, disponendo di un forno ventilato forse ci abbiamo messo un pochino meno.
Il risultato lo avete già visto in anteprima con il salame, comunque qua gli dedichiamo una foto...


Dimenticavo: non crediate che le ricette realizzate insieme all'instancabile signora Gi siano finite... Ho disseminato un indizio della prossima in questo post :)
Buona ricerca (il detersivo non c'entra).

LA RICETTA IN BREVE

1 kg di patate lessate
2 porri
250 g di ricotta
150 g di parmigiano grattugiato
1 uovo intero e 2 tuorli
sale
noce moscata
Affettare i porri e appassirli in padella con un filo d'olio. Sbucciare e passare le patate dallo schiacchiapatate (finchè calde). Unire i porri alle patate e agli altri ingredienti. Mettere in una teglia imburrata e cosparsa di pangrattato; pareggiare bene il composto, che deve essere alto 3-4 dita circa. Decorare la superficie tracciando delle righe con una forchetta e cospargerla di pangrattato.
Infornare 40 minuti a 180°.

domenica 14 novembre 2010

Salame fritto


La realizazione di questo piatto della cucina parmense è stata in bilico fino all'ultimo! Ma alla fine io e la signora Gi, che mi ha gentilmente ospitato per un intenso pomeriggio di cucina sulla prima collina parmense, siamo riuscite nell'impresa.
La difficoltà non sta nella realizzazione della ricetta, che è di una semplicità disarmante, ma nella ricerca degli ingredienti... Come infatti mi diceva la suocera della signora Gi, seduta per due chiacchiere in cucina con noi, l'importante è che il salame sia veramente buono, e veramente fresco. Loro se ne intendono, perchè a casa tradizionalmente si allevava e si faceva macellare il maiale. Un vero evento, che richiedeva di chiamare il norcino (cioè l'addetto alla macellazione), e di avere poi una stanza adatta alla stagionatura: idealmente, un locale non riscaldato sopra la cucina.
Un evento non adatto a persone troppo sensibili, quindi fatevi forza per continuare a leggere... se avete il cuore troppo tenero, o il colesterolo troppo alto, saltate alla foto più in basso :)
Il maiale veniva sgozzato, appeso per le zampe, dopodichè si procedeva a squartarlo: si staccavano i prosciutti e si salavano; si staccava e arrotolava la pancetta; si staccava la pelle della schiena, sotto la quale si trova il lardo; poi si staccava un pezzo di carne triangolare intorno alla gola e alle spalle, che veniva cucito per ottenere il prete (un taglio tipico della cucina parmigiana).
Si lavavano le budella e si riempivano di pezzetti di carne a formare (eccoli finalmente) i salami, i salamini (detti anche salsicce), i cotechini. Non contenti, si prendevano tutte le ossa, la testa, etc, si mettevano in un bel pentolone detto caldera, all'aperto, e si faceva bollire, bollire, bollire.... Alla fine, ciò che restava si raccoglieva in un panno e si strizzava: dal panno usciva il grasso (lo strutto) e restava un composto di carne pressata, detta la cicciolata, che si mangiva a fette. Del povero maiale non era rimasto molto, se non il fegato e i piedini, che non si conservavano e si mangiavano subito. Tutto in un giorno!
E poi, prima di far andare via l'amico norcino, era il caso di controllare che dopo essersi cambiato le scarpe, non se ne partisse con le costine di maiale nascoste negli stivali da lavoro! Pare che la sua amante apprezzasse ricevere come omaggio la carne così aromatizzata...


Va bene, non abbiamo macellato il maiale! Ci siamo limitate a pellegrinare per macellerie e salumifici, alla ricerca di salame stagionato da pochi giorni. A Parma e dintorni lo chiamano proprio salame da friggere, ma bisogna avere la fortuna di capitare nel salumificio poco dopo la macellazione del maiale. Alla fine, diciamo che l'abbiamo trovato con un colpo di fortuna... cioè il marito della signora Gi lo ha trovato nella prima macelleria in cui è entrato!
Eccoci qui, con il sospirato mezzo chilo di salame fresco (dose per quattro persone). Lo tagliamo a fette spesse un dito.
Subito, mangiamo una fetta cruda: è già ottima, ma dobbiamo resistere perchè il resto va fritto.
Mettiamo due-tre dita di vino bianco secco in una padella larga: la signora Gi mi dice che il non plus ultra sarebbe la Malvasia secca.
Quando il vino è bollente e sfrigola, è ora di buttare le fette di salame: cuocendosi si restringono e si arricciano un po' ai lati. Basta girarle dopo circa tre minuti e finire di cuocerle dall'altro lato.


Ecco il risultato (con un moto di riconoscenza verso l'amico porco).
Che cosa fa compagnia al salame nella foto?
Un po' di pazienza fino al prossimo post...


LA RICETTA IN BREVE

500 g d salame fresco (stagionato di pochi giorni)
1/l di vino bianco secco
basta così! :)

Tagliare il salame a fette spesse un dito.
Mettere 2-3 dita di vino ina padella larga. Scaldare finchè sfrigola.
Aggiungere il salame e friggere circa 3 minuti per parte.

lunedì 1 novembre 2010

Passatelli


Oggi mi dedico ad una ricetta che per me ha veramente il profumo delle domeniche con i parenti: i passatelli in brodo.
Li farò insieme alla signora A., bolognese figlia di bolognesi. La sua dedizione ai passatelli è provata da episodi storici: ad esempio si ricorda una volta che preparò una cena tipica bolognese per degli ospiti, cena che si apriva con sontuosi passatelli in brodo... era il 30 giugno in Sicilia! Non vi dico come proseguì la cena...
In una giornata come oggi l'atmosfera grigia e umida aiuta di certo ad apprezzarli di più!
Il primo passo è creare una palla piuttosto soda con uova, noce moscata grattugiata, parmigiano, pangrattato.
La signora A., che (al contrario della nostra ospite precedente) è veramente una filologa, ha confrontato diverse ricette e dosi con minime variazioni... Quella "vera della nonna" dice:
sbattere le uova, grattugiare la noce moscata, aggiungere via via un cucchiaio di parmigiano e uno di pangrattato, mescolando con una forchetta; alla fine aumentare un po' la proporzione del pangrattato rispetto al parmigiano.
Beh intanto, armate di pazienza, grattugiamo un bel po' di parmigiano che quello ci vuole di sicuro.


Va bene, va bene... adesso scrivo delle dosi comprensibili :)
per 4 persone

2 uova
5 cucchiai colmi di parmigiano
7 cucchiai colmi di pangrattato
beh la noce moscata la lascio a piacere...


Eccoci qui con la nostra palla piuttosto soda, non appiccicosa. Dato che l’impasto è buonissimo anche crudo, vale la pena di assaggiarlo con la scusa di aggiustare di sale e (volendo) di pepe.
A questo punto viene il bello… dalla palla bisogna “spremere” tanti bei vermicelli.
Qui lo facciamo armate di un originale “ferro da passatelli” che proviene direttamente dalla casa di una prozia; i profani possono farlo anche (più comodamente in verità) con un volgare schiacciapatate. In ogni caso, il "ferro da passatelli" è un attrezzo assai meno pesante, meno ingombrante e nel complesso totalmente innocuo rispetto al "ferro da tigelle" incontrato la volta scorsa!
Se la pasta ha la consistenza giusta (tale da non sciogliersi miseramente una volta buttata nel brodo), non si lascia ridurre in passatelli così agevolmente; oltre a chiamare in aiuto un braccio virile (come puntualmente abbiamo fatto), sembra che la soluzione sia passare il ferro sulla palla facendo forza non verso il basso, ma leggermente in avanti. Può essere più semplice anche dividere l'impasto in palline come ho fatto qui.

Via via che i passatelli sono pronti, li buttiamo nel brodo bollente: una buona notizia è che non scuociono. Devono cuocere circa cinque minuti, ma stare “a mollo” un po’ di più non li danneggia.
Ora siamo pronti per una bella scodella calda!
E se ne avanzano, basta lasciarli nel brodo e scaldarli l’indomani (soprattutto se anche l’indomani si prospetta freddo e piovoso).
So che non ho detto niente sulla preparazione del brodo… ma credo che gli darò la dignità di un post dedicato più avanti :)


LA RICETTA IN BREVE

Ingredienti:
2 uova
5 cucchiai colmi di parmigiano
7 cucchiai colmi di pangrattato
noce moscata
sale e pepe
1 litro brodo di carne

Sbattere le uova in una terrina con una forchetta. Grattugiare un pizzico di noce moscata. Aggiungere il parmigiano e il pangrattato a cucchiaiate alternate, continuando a mescolare con la forchetta. Aggiustare di sale e pepe.
Formare una palla con l’impasto. Con uno schiacciapatate (o con l’apposito ferro) spremere dall’impasto dei vermicelli. Tuffarli nel brodo e cuocerli per cinque minuti.


martedì 26 ottobre 2010

Tigelle



La mia prima “maestra” è una signora dell’Appennino bolognese, che ora abita a Bologna e che conosco da anni… La sua abilità pratica è sorprendente, e l’avrei potuta coinvolgere in una dimostrazione pratica di cucina emiliana, come in una di sartoria, come in una di riparazioni domestiche… insomma vado sul sicuro.
Arriva munita del ferro da tigelle… beh per chi non lo sapesse, le tigelle sono delle “specie” di panini di forma piatta e rotonda che si mangiano particolarmente volentieri con il salume. Descrivere il ferro da tigelle non è facile, ma se non lo conoscete lo vedrete nelle foto… è una specie di padella a forma di quadrifoglio, con quattro cavità a forma di cerchio, in cui vanno posizionate le tigelle; poi si chiude con un coperchio simmetrico, e ogni tigella lievita e cuoce nel suo “vano”. Il problema di questo arnese, è il suo peso: io non credo sia sotto i cinque chili! Comunque, è del tutto indispensabile, quindi facciamoci sotto.
Innanzitutto posizioniamo sul tavolo la (mitica) spianatoia con una fontana di:

500 g di farina (+ un altro po’ per la spianatoia)
una bustina (o poco più) di lievito istantaneo per pizza
un pizzicone di sale fino

La signora Lo. osserva subito, con mio grande sollievo, che prima usava il lievito di birra e aspettava lievitasse, ma ora con il lievito istantaneo è tutto più veloce e anche più buono! Non crediate che le massaie emiliane siano delle filologhe della cucina senza senso pratico!
Impastiamo la farina con:

2 bicchieri (piccoli) di latte
2 dita d’acqua

Vedo che la signora impasta versando prima il latte a poco a poco e mescolando il centro della fontana; poi, quando ha formato più o meno un impasto e restano solo delle bricioline secche attaccate alla spianatoia, le impasta con l’acqua e le unisce alla “palla”. Non so se c’è un motivo, forse terminando con l’acqua la spianatoia si pulisce.
Poi impasta vigorosamente, premendo l’impasto con il polso e raccogliendolo più volte. Ovviamente, quando provo io, la mossa è meno abile… d’altra parte, la signora Lo. già all’età di cinque anni aiutava sua mamma tutte le settimane a fare il pane!
Alla fine forma un cilindretto di circa… mmh…. diciamo sette cm di diametro e lo taglia in 12 fette di un dito di spessore. Il coltello con cui taglia, detto “coltello da sfoglia”, è abbastanza da serial killer, ma visto che ha la lama perfettamente dritta, tornerà utile anche per pulire la spianatoia (se non temete di rovinare il filo del coltello).
Infariniamo i dischetti e diamo loro una forma regolare.

Intanto abbiamo messo il temibile ferro, chiuso, sul fuoco alto, rigirandolo in modo che si scaldasse bene dai due lati. Lo apriamo e posizioniamo quattro aspiranti tigelle ai loro posti. Non schiacciate le tigelle come ho fatto io o si attaccano! Chiudiamo il ferro e abbassiamo un po’ la fiamma. Le tigelle si gonfiano quasi subito e prendono il classico disegno del “fiore” inciso all’interno dei ferri da tigelle degni di questo nome.


Girando (con un po’ di fatica) il minaccioso arnese di tanto in tanto, cuociamo le tigelle per cinque-sei minuti in tutto. Le tigelle pronte hanno una crosticina e all’interno suonano un po’ “cave”. Le mettiamo a raffreddare dentro ad un sacchetto di carta. Una volta tiepide, si possono mangiare subito (con salume o con il mitico pesto alla modenese… ne riparleremo…) oppure congelare, e scaldare successivamente in forno, tostapane o piastra.
Per correttezza, dato che siamo alla scoperta della cucina emiliana, vi dirò anche questo… oggi ho scoperto che la signora Lo., da me considerata una “tigellaia” avanzata, non ha imparato questa ricetta dalla sua mamma o nonna, ma si è arrangiata in seguito, perché dalle sue parti (Appennino bolognese) le tigelle non usavano! Però meno male che le ha scoperte perché sono ottime e le produce con una straordinaria naturalezza!

LA RICETTA IN BREVE

Ingredienti:
500 g di farina
1 bustina di lievito istantaneo per pizza
2 bicchieri (piccoli) di latte
2 dita di acqua
Sale fino

Fare la fontana con farina, sale, lievito.
Impastare bene con il latte e la farina fino ad ottenere un impasto abbastanza consistente (un po’ più di una pasta da pizza).
Formare un cilindro con la pasta, del diametro un po’ inferiore ai cerchi del ferro da tigelle.
Tagliare 10-12 fette di un dito di spessore e infarinarle leggermente.
Scaldare bene il ferro da tigelle da entrambi i lati.
Appoggiare le tigelle a quattro alla volta sul ferro, senza premere.
Chiudere il ferro e cuocerle, rigirando, per 5-6 minuti in tutto.
Far intiepidire le tigelle dentro ad un sacchetto di carta.

Un'emiliana nomade

Benvenuti nella cucina emiliana! Anzi, nelle cucine emiliane… tante cucine, ciascuna con il proprio tavolo, fornelli, sedie, mattarello… tante cucine, con ricette, tradizioni e sapori differenti, ma in comune un’atmosfera di casa. Ho deciso di esplorare queste cucine, su e giù per la via Emilia, in pianura e in collina, di imparare il più possibile; di raccogliere ricette, gesti e racconti, e di condividerli. Non ho intenzione di ricercare “la vera ricetta” dei piatti tradizionali (tema su cui si potrebbero intavolare interminabili anche se amabili discussioni all’ultimo sangue), ma piuttosto di scoprire il più possibile le varianti, che si tramandano con infinite sfumature differenti dall’uscio di una casa a quello della successiva; convinta che sino queste infinite gradazioni e alternative la vera ricchezza. E soprattutto, cercando di incontrare le persone che mi insegnano queste ricette, di città in città, di cucina in cucina, e imparare non solo le dosi e gli ingredienti, ma qualcosa di più…